martedì 18 dicembre 2012

Incendiari e pompieri

Se è vero che, come canta Ligabue, "si nasce da incendiari e si muore da pompieri", allora sono indubbiamente un caso anomalo. Resto inesorabilmente, inevitabilmente, uno che non riesce a mettersi le pantofole e godersi le cose che ha conquistato anche con una certa fatica. Ad un certo punto rimetto tutto in gioco ed accetto nuove scommesse. 

E' successo mille volte: ho cambiato città, lavoro, amori.  Sopratutto ho cambiato casa tante volte, tutte (o quasi), erroneamente pensando che sarebbe stata l'ultima, che le radici si sarebbero ancorate profondamente nel sottosuolo e il "pompiere" avrebbe prevalso, adattandosi e, perchè no, godendo di quella tranquillità di cui, talvolta, si sente il bisogno. 

Non fraintendete: non è questo un elogio all'immobilità, alla resa, al pensionamento. E' solo un sottile desiderio di trovare, dopo tante ricerche, il nido giusto, quello a cui ritornare dopo il lavoro, i viaggi, le battaglie vinte e quelle perse. Un luogo dove sentirsi in pace con l'universo e con se stessi. 

Forse quel posto ora c'è. O, meglio, ci sarà nella seconda metà del nuovo anno. Come ogni volta è l'incendiario a prevalere, la parte di me che rimette tutto in discussione e gioca una nuova mano alla ricerca del poker d'assi. Quello che, nel posto giusto, con la persona giusta, nel modo giusto, si può e si deve trovare. 


mercoledì 26 settembre 2012

Il segreto del fenomeno

Dopo il post sulla mediocrità mi sono chiesto più volte se, in fondo, non fossi stato troppo severo: se in effetti il giudizio su alcune tipologie di persone non fosse stato un po' troppo affrettato, se non avessi scritto quelle parole sull'onda di una qualsivoglia delusione o recriminazione. 

Beh, no. La risposta è arrivata quasi immediata, spontanea, inarrestabile. No, perché sono stanco di gente finta. 

Nella mia vita ho avuto la fortuna di poter arrivare a fare due lavori che mi piacciono : la radio e (vicino al primo, ma non troppo) gestire un'agenzia di eventi e comunicazione. Entrambi lavori fantastici che giorno dopo giorno amo maggiormente ma, sopratutto nel secondo, spesso a contatto di quei "mediocri" di cui ho scritto e per i quali non riesco ormai a non provare una repulsione selvaggia. 

Se un tempo riuscivo a mascherare diplomaticamente questa mia repulsione, mi rendo invece conto che, complice l'età o l'esperienza, oggi come oggi faccio molta difficoltà a farlo. 

Mi spiego meglio. Se vogliamo paragonare la comunicazione ad una "cartella" da computer , la stessa è composta di talmente tante "sottocartelle" in cui sono contenuti tanti "file" . I file sono le persone che incontri nel corso della tua professione: alcune eccezionali, altre valide, certune sufficienti . 

S'intende : il metro di giudizio è il tuo e ovviamente (e fortunatamente) unico.  Ma ci sono i fenomeni. 

Dicesi fenomeno di una persona capace di avere talmente tanta autostima da poterne riempire una piscina olimpionica. Solitamente senza alcun merito.

I veri "giusti" che ho incontrato erano solitamente persone semplici, consapevoli del loro valore, della loro arte, del fatto di avere quel "quid" che faceva di loro dei vincenti : ma mai  come in questo periodo incontro gente che vive vendendo fumo e non producendo alcun arrosto.

I fenomeni li trovo ovunque. Finti fotografi, finte modelle, finti giornalisti, finti grafici. Tutti con un ego capace di riempire uno stadio ma con capacità di una capocchia di spillo.

Beati loro. Vivere credendo di essere al top forse è meglio di vivere in perenne ricerca di un miglioramento.

Ecco, la mia è solo invidia... 

mercoledì 13 giugno 2012

Ode al mediocre

Volevo, con un po' di presunzione e quel pizzico di megalomania che non guasta, parlare di mediocrità. Di come , un po' ovunque ma sopratutto nel nostro paese, la mediocrità intesa nel suo senso più bieco e negativo, trionfi. 

Come scrisse Oscar Wilde "per acquisire popolarità bisogna essere una mediocrità". Lui che mediocre non lo era affatto aveva capito perfettamente come le cose funzionavano.  Se lo aveva capito in una Gran Bretagna dell'800 avrei davvero voluto vederlo alle prese con l'Italia del 21° secolo. 

Il mediocre non sa, ma inventa. E' un azzeccagarbugli che sa fare tutto e si reinventa ad ogni passo. E' capace di sopravvivere nella melma e di saltarne fuori quando meno te lo aspetti : una sorta di Gollum pronto ad uccidere per il suo tessssoro. 

In verità il mediocre trionfa perché si pone, spesso, alla stessa altezza del suo interlocutore, o meglio qualche gradino più in basso, in posizione prona, disposto a tutto accettare e a tutto accondiscendere pur di ottenere il suo risultato ambito : ottenere senza meritare.

Diciamo la verità : lo "Yes Man" (o girl, qui non siamo sessisti) ha sempre funzionato , ma in questi ultimi anni , in modo particolare nello Stivale, sembra di assistere ad un trionfo a mani basse di chi vende fumo, promette mari, li trasforma in fiumi e  realizza pozzanghere, riuscendo sempre a scaricare sugli altri la "colpa", la responsabilità, il peso delle sue azioni malevole.

Prendo da questo articolo di Angela Potente che trovo delizioso :"... il mediocre millanta, invidia, distrugge, offende, si arrampica, si insinua, offre chimere, mena fendenti a destra e a manca, urla, strepita, minaccia, e al contrario del nostro giocatore di cavalli di cui sopra, vince. Egocentrico, perché in cuor suo sa di non valere, fa pagare questa consapevolezza a chiunque gli capiti a tiri, irritante con i sottoposti, spesso più bravi di lui, si erge altero nella sua luce brillante quasi sempre solo riflessa.

In tempi di crisi la mediocrità trionfa. Ovvio : la mediocrità solitamente costa poco e di questi tempi sembra che solo il prezzo abbia importanza.

Vale la pena chiedersi :colpa della crisi o, in fondo, la mediocrità, a noi italiani in particolare, piace e ripiace ? 


lunedì 19 marzo 2012

Auguri papà !

Certo che ne sono passati di anni da quando , in quei filmini accanto alla millecento, mi tenevi in braccio e mi facevi giocare. Quanta acqua passata sotto i ponti, quante traversie nella tua, nella mia vita ; quanta felicità e quanti dolori sono passati in più di quarant'anni. 

Erano gli anni sessanta quando tu sei diventato papà , il duemila quando lo sono diventato io. Quarant'anni che separano due modi di essere padre profondamente diversi. Ma non è della mia paternità che volevo scrivere, ma della tua. 

Volevo scrivere di un padre che, da piccolo, vedevo poco perché era sempre in viaggio, a lavorare, a fare un lavoro che io, nella mia piccola mente di bambino sognavo come qualcosa di importante , di grande. Mio papà andava per mare, era un ufficiale. Crescevo con mia madre ma la tua figura c'era sempre: nelle telefonate, nelle lettere, in quella mattina in cui inaspettato sei tornato dall'Olanda e mi hai portato uno dei primi Meccano. In Italia non c'erano ancora. O come hai portato, un giorno, il primo giradischi della mia vita sul quale ho inciso le prime parole su un disco. 

Dimmi, papà, lo avresti mai pensato che quel giradischi avrebbe fatto nascere un sogno in tuo figlio ? Un sogno che sarebbe diventato realtà, che avrebbe fatto di me un professionista del microfono. 

Certo ti ho fatto ammattire. Tu e mamma probabilmente, in qualche momento, avrete pensato che vostro figlio maggiore avrebbe preso una strada pessima. Poca voglia di studiare e un animo ribelle che non voleva sottostare a regole, quella della scuola, che non permettevano al mio lato creativo di uscire. 

Preferivo la radio, il microfono, i dischi e quella stanzetta di una radio anni 80. Scappavo dalle aule per andare a trasmettere. E voi due soffrivate. Ricordo il giorno che sei venuto a prendermi : ero stato bocciato. Io lo sapevo , e forse lo sapevi nell'inconscio anche tu che sarebbe successo. Non furono botte : ma il tuo sguardo mi fece capire molte cose. 

Avevi molte ambizioni per la mia vita, come io ora le ho per quella di mia figlia. Ora so cosa si prova a vedere crescere un figlio e a temere per quello che sarà di lui o lei. 

Spero di non averti deluso, papà.  Spero che i nostri scontri di un tempo ti abbiamo fatto semplicemente capire di aver cresciuto un uomo libero, che sa ragionare con la sua testa, che ha saputo prendere per mano la sua vita e portarla li dove, forse, desiderava. 

Oggi ti vedo anziano ma ancora combattivo, un po' più curvo ma sempre attento. Riconosco ancora in te quell'uomo della millecento. 

Sono qui ora, la vita mi ha portato lontano da voi e non sono mai stato un tipo da smancerie. I miei sentimenti qualche volta restano chiusi a doppia mandata nel mio cuore : troppe volte quando l'ho aperto qualcuno è entrato e ha fatto male, molto male. Tu lo sai : è anche grazie al vostro aiuto che oggi posso dire di essere soddisfatto della mia vita , almeno in una buona percentuale. 

Volevo dirti "grazie" , papà. Perché resti testardo e talvolta difficile da comprendere, ma sei stato, sei e sarai sempre il mio "ufficiale". 

martedì 6 marzo 2012

Cattivik

Ogni tanto scrivo. Quando il tempo me lo consente, quando la stanchezza non mi chiude gli occhi alle 9 della sera, quando non c'è qualche preventivo da correggere, qualche mail da mandare, qualche messaggio a cui rispondere. 

Scrivo e stasera mi piacerebbe scrivere della cattiveria gratuita, quella che fa parte del dna di alcune persone e che neppure la pinza del dentista riuscirebbe ad estirpare. 

C'è chi nasce cattivo e cattivo resta. O chi lo diventa per motivi sconosciuti ai più. Chi lo fa per darsi un tono, per sentirsi importante, perché l'unico modo che ha di contare a questo mondo è fare del male al prossimo. 

Non capisco. Sarà che qualche decina di libri di filosofia orientale letti nella mia vita mi hanno fatto piacevolmente abituare all'idea del karma, ma sinceramente non capisco la cattiveria. Non crediate di avere a che fare con un asceta o con un moralizzatore. No : capisco la durezza, l'asprezza del carattere, l'ispessimento del cuore; ma quelle sono altre cose. 

La cattiveria è ferire solo per il gusto di farlo, senza un fine logico, con magari anche la convinzione di agire nel modo giusto, di essere dalla parte della ragione. 

Ecco : forse oltre i cattivi, anche quelli che hanno sempre ragione non li capisco. Mai riuscito ad avere sempre ragione. 

Sarà che non sono mai stato cattivo, o perlomeno non sono mai riuscito ad esserlo: per indole ma da qualche tempo per scelta. "Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te." Chi l'ha detto ( e Lui ne sapeva qualcosa) dovrebbe essere ascoltato di più : non solo per sfoggiare il vestito nuovo o il Suv alla messa della domenica. 

Il Buddha (un altro che ne sapeva qualcosa) disse "Non sarete puniti per la vostra rabbia, ma dalla vostra rabbia". 

Per scelta non odio più nessuno. E non sono cattivo. Deciso, alle volte intransigente, motivato, forse acido talvolta. Ma la cattiveria la lascio volentieri a chi ha tempo da dedicarle. 

E tempo per affondare con essa. 

giovedì 26 gennaio 2012

Riflessioni

Alle volte ci sono giornate che non finiscono più, in cui ti trovi talmente pieno di cose da fare che ti chiedi se, in fondo, era questo quello che volevi, se veramente le tue aspirazioni erano quelle di trovarti alla fine della giornata con gli occhi che si chiudono dalla stanchezza e il pensiero già rivolto alle preoccupazioni di domani. 

Si. La risposta è si. Perché ogni cosa che hai creato , costruito con le tue mani pezzettino per pezzettino è inevitabilmente parte di te , del tuo essere, del tuo sentirti vivo. Che anche quella stanchezza che alle volte ti toglie la possibilità di sederti a scrivere un pezzo fa parte di un fantastico copione che tu stesso hai contribuito a scrivere.

Quanti errori, quanti passi falsi, quante facce dimenticate o lasciate per la strada. Quanta acqua passata sotto ponti o che neppure ricordi. 

Ci sono persone alle quali, oggi, vorresti dire grazie ma che forse non rivedrai: perché la vita alle volte ci allontana anche da chi vale, non solo da quelli che lasciamo andare perché nulla portano di positivo nella nostra vita. 

Scelte, sempre ed inesorabilmente una questione di scelte. Buone o cattive che siano, tue , private, personalissime ed ineluttabili scelte che fanno di te ciò che sei e ciò che sarai. Talvolta ciò che avresti sempre voluto essere. 

Ecco, oggi mi sento così. Forse domani avrò cambiato idea, oppure sarò pieno di dubbi, di paure sul futuro . O ancora avrò nuovi progetti da sviluppare, altre ambizioni da far crescere. 

Ma oggi mi sento davvero me stesso. E , scusate se è poco, mi piaccio anche un po'....

martedì 3 gennaio 2012

Tutt el mond a l'è paes, a semm d'accòrd, ma Milan, l'è on gran Milan

La mia vita si sta dividendo tra Padova e Milano : direttrice automobilistica A4 o binario Freccia Argento. 

Potrei elencare le stazioni in cui il treno si ferma in ordine esatto sia in una direzione che nell'altra. Potrei, meglio dell'applicazione "Pronto Treno", percepire ritardi o problemi sulla linea. Potrei capire l'umore della signorina o del giovanotto che ti porge il giornale con solerzia o con pigrizia indicibile. 

Milano mi ha sempre affascinato : quando facevo solo radio era la città dei grandi network : 105, poi Deejay. Il sogno stava li : mollare baracca e burattini , trasferirsi a Milano e diventare una grande voce dell'etere nazionale. Non è stato così : pazienza. I sogni però non vanno mai gettati nella spazzatura, prima o poi (sono come la Democrazia Cristiana) sotto qualche altro aspetto, magari, ritornano. 

Con il passare degli anni il fascino è rimasto : la voglia di andare invece è scemata. O forse è passato quel momento di beata incoscienza che in determinati periodi della tua vita ti fa prendere tutto e andare lontano. 

Il mio coraggio (o l'incoscienza) si è fermato a Padova. 

Nonostante ciò, destino (o il sogno mai gettato del tutto) ha voluto che per la "seconda faccia" del mio lavoro sia necessario passare più di qualche giorno al mese nella metropoli.  L'ultima volta che vi sono andato mi sono fermato un paio di giorni, da solo . Lontano dalla frenesia del "mordi e fuggi" o del "lavora e scappa" con cui di solito affronto Milano , ho avuto modo di vivere le sue strade , la sua frenesia, la sua gente in modo un po' più completo, più appagante se vogliamo. 

Milano è brutta. Non c'è verde, c'è casino ovunque.  Io vivo in periferia, davanti ad un parco. Al mattino vedo verde ( e non è il semaforo). Come potrei mai ? 

Eppure quel piccolo tarlo lavora, si fa strada ed ogni volta che ritorno lo sento armeggiare con le sinapsi del mio cervellino. 

Provincialismo ? Probabile ! Immaturità ? Sicuro !   O forse solo semplicemente il desiderio, mai sopito, di continuare ovunque e in qualunque posto a rimettere in discussione la propria vita, a non sentirsi arrivati, a coltivare la voglia di scoprire cose, gente, luoghi. 

Forse passerà anche stavolta, la voglia di Milano. Forse no. O forse, domattina, sull'autostrada che mi porterà di nuovo lì, cambierò idea e rimpiangerò soltanto il mare della mia bella Trieste abbandonata, come un'amante ancora nel dormiveglia, molti anni fa per inseguire un sogno che si è modificato ma al quale non posso e non voglio rinunciare : vivere la mia vita pienamente. 




lunedì 2 gennaio 2012

Lonely people

Ho un rapporto controverso con la solitudine. 

Da una parte l'ho sempre combattuta con forza, scegliendo un lavoro che mi mette quotidianamente a contatto con molta (alle volte troppa) gente ; eppure, se scavo a fondo nei miei ricordi, alcuni dei momenti più emozionanti, toccanti,  della mia vita li ho vissuti nell'assoluta solitudine.

I miei viaggi da solo, ad esempio : il mese passato negli States , la Tunisia, Londra, la prima volta in Irlanda. 

Stare da solo ha sempre acuito la mia sensibilità : mi ha permesso di scavare a fondo in me stesso, di autoanalizzarmi, di trovare alle volte risposte che cercavo da tempo.  

Ho insomma vissuto la solitudine sempre e comunque (o quasi) come qualcosa di costruttivo e formativo, mai di una "pena" inflittami da qualsivoglia essere superiore adirato per le mie presunte malefatte. 

Scopro invece che la maggior parte della gente cerca disperatamente il "non essere sola". Quanti  accettano rapporti d'amore bacati , marci fino al torsolo , pur di non essere soli; quante coppie tenute insieme dalla paura piuttosto che dall'amore, quanta finzione, quanta ipocrisia. 

Quante false amicizie, quanta rincorsa al "divertirsi tutti insieme a tutti i costi", quanto dover dimostrare di avere una vita sociale talmente frenetica da dimenticare cosa vuole dire rimanere un attimo da soli con la persona alla quale dovremmo il nostro amore incondizionato: noi stessi.